Oggi, nella Giornata della Memoria, il ricordo di ciò che è accaduto è per me anche il ricordo di quando visitai alcuni dei luoghi che segnarono l’Olocausto. Io, personalmente, li ho rinominati: “capitali della morte”.
Visitare una delle capitali della morte su questo mondo è stato oltremodo straziante; un misto di rabbia, fastidio, acrimonia e tristezza, ma solo alla fine.
Quando visitai la fabbrica Schindler iniziai a comprendere in giusta misura ciò che accadde lì ma smisi di capire quello che sentivo, interrogandomi sui perché che, ahimè, mai verranno compresi da alcuno.
Quella comprensione, poi, la riacquistai pochi giorni dopo, visitando Auschwitz I e Auschwitz II. Lì riacquistai la comprensione ma persi la parola. La pesantezza emotiva di quel luogo fu troppa, proferire parola sembrava eccessivo, quasi pretenzioso. Non c’era parola che alleggerisse in modo alcuno quel luogo, che al contrario veniva appesantito a ogni passo, ogni parola.
La memoria è questo: dare peso a essa lasciando viva la testimonianza nella sua pesantezza e nella sua gravità, qualunque cosa pur di preservare la persistenza della memoria.
Noi abbiamo il ruolo di tenere viva questa testimonianza rendendoci portavoce e ambasciatori di ciò che è successo e che dobbiamo impedire in ogni modo che accada ancora: combattendo le micro-aggressioni, le discriminazioni e i soprusi verso quelli che vengono ritenuti i più deboli, schierandoci con loro e combattendo in prima fila per preservare i diritti delle persone che, come noi, sono abitanti del mondo.
Non comprenderemo mai ciò che accadde, ma dovremo per sempre ricordare.
Federico Crobe